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LE TRE SEPOLTURE
(THE THREE BURIALS OF MELQUIADES ESTRADA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 marzo 2006
 
di Tommy Lee Jones, con Tommy Lee Jones, Barry Pepper, January Jones, Dwight Yoakam, Melissa Leo, Vanessa Bauche (Stati Uniti, 2005)
 
Tre funerali. Il primo frettoloso, ordinato da una polizia che ovviamente se ne frega considerato il defunto. Melquiades Estrada, brav'uomo immigrato in quella terra di nessuno che separa il Messico dagli Stati Uniti a fare la sola cosa che conosca, il cowboy: ucciso (per noncuranza, per incapacità, per sbaglio) da una giovane guardia di frontiera addetta, oltre che alla lettura di giornalini porno, al massacro a colpi di botte delle famiglie di disperati che gli capitano a tiro. Il secondo è quello, altrettanto spiccio ma tanto più rispettoso e accorato, compiuto dal ranchero Tommy Lee Jones. L'eroe immusonito di IL FUGGITIVO e di MAN IN BLACK, ma pure il laureato in letteratura ad Harvard, qui alla sua (quasi) prima, invero sorprendente esperienza di regista. Che riapre la sepoltura, costringe l'assassino a riesumare la salma dell'amico; e ad accompagnarla, a dorso di mulo, verso un riposo dignitoso nel suo Messico. Un viaggio nobile e leale, non tanto una vendetta, ma la presa in ostaggio di un mondo incosciente nella propria xenofobia, che assomiglia a qualcosa che conosciamo; e che costituirà la terza, vera sepoltura del titolo.

L'interesse di LE TRE SEPOLTURE non nasce solo dal fatto di essere ritornato a filmare (con Chris Menges, uno che dal verismo del Ken Loach di KES o di LOOKS AND SMILES era passato al realismo più stilizzato di KILLING FIELDS ) le atmosfere truci del Sam Peckinpah di VOGLIO LA TESTA DI GARCIA; o gli orizzonti di insopportabile polvere e chiarori incandescenti che finiscono per evolvere nel metafisico. Quelli che, del 1924 ante-litteram del GREED di Stroheim conducono ai Ford, Huston, Boetticher, Van Sant, al DEAD MAN di Jarmusch o alla melanconia crepuscolare di un Eastwood al quale si rende un evidentemente omaggio qui. Se la visione della dimensione desolata di LE TRE SEPOLTURE, con la sua miseria (morale, civile, sessuale) da no man's land antica e, al tempo stesso, tragicamente eterna e contemporanea può definirsi di un western moderno è per il tono amaro ma egualmente terribilmente lucido e disincantato, i suoi rinvii sconsolati a tutte le frontiere, a tutti gli spostati, gli immigrati, i diversi osservati con occhio indifferente o perlomeno sospettoso.

Giustamente ricompensato a Cannes per la sceneggiatura (e regolarmente ignorato agli Oscar assieme ai Cronenberg, Burton e pure Allen di ben altro disturbo rispetto ai laureati) LE TRE SEPOLTURE non costruisce questi suoi meriti in nome di quel caso che decreta la scomparsa dello sfortunato Melquiades. Ricorrendo al Guillermo Arriaga di AMORES PERROS e di 21 GRAMMI, Lee Jones conferisce alla prima parte del film quella costruzione atemporale da puzzle, sulle situazioni del quale bisogna ritornare a più riprese e da diversi punti di vista; che obbliga lo spettatore non solo ad una ricostruzione, ma ad una riflessione. Ed una seconda più lineare, sempre governata da una visione amara, acuta ma saggiamente distaccata come quella del protagonista in un itinerario, voltate le spalle allo squallore urbano, sempre più idealizzato. Verso le sorgenti salvifiche del western, scandito dal paesaggio di linee montagnose stilizzate, di rocce dalla durezza tutta da scalfire; come la coscienza di quella guardia che ci si porta appresso, affinché sia esorcizzata dalla violenza che ha causato, nell'indifferenza e nell'ignoranza.


   Il film in Internet (Google)

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